Al regista svedese Morten Traavik è riuscito un piccolo capolavoro: organizzare un concerto di una rock band in Nord Corea, uno Stato quasi del tutto impermeabile allo “straniero”. Potrebbe bastare questo a rendere interessante la visione di “Liberation Day”. Se non fosse che Traavik in Nord Corea ci ha portato una delle formazioni più anomale che abbiano mai calcato le scene: i Laibach, genuini rappresentanti della prima generazione dell’industrial rock, “franchigia” formatasi nel 1980 nella piccola cittadina operaia di Trbovlje in Slovenia.
La ritmica marziale militaresca, il canto baritonale e monocorde di Milan Fras, l’uso di diverse lingue (sloveno, tedesco, inglese, qualche volta anche italiano) già basterebbero a sottolinearne la particolarità, anche all’interno della stessa scena musicale indipendente; ma quello che da sempre caratterizza l’immagine (o per meglio dire la “cattiva reputazione”) dei Laibach è l’uso dell’estetica del totalitarismo (fascismo, nazismo, stalinismo), non solo dal punto di vista del look, ma anche da un punto di vista concettuale.
Sounds Good è la rassegna tra cinema e musica in collaborazione con Kinodromo.
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