IL CONTESTO
Viviamo nel doppio giogo dell’economia comportamentale e dell’economia dell’attenzione: da un lato, sappiamo che le scelte quotidiane dipendono dalle cosiddette euristiche, scorciatoie decisionali per cui i nostri comportamenti dipendono dall’abitudine e dal “risparmio” delle risorse cognitive; dall’altro, l’enorme mole di stimoli e input che ci arrivano quotidianamente rendono l’attenzione il bene più prezioso su cui investire politiche e azioni di cambiamento.
Nel mese di novembre, la rivista Nature ha inaugurato un focus collaborativo a livello internazionale per mettere in luce i diversi aspetti della relazione tra le scienze comportamentali e gli studi sul cambiamento climatico. In più di un articolo, si sottolinea la necessità di integrare politiche classiche e comportamentali. Ma cosa si intende per politiche comportamentali? Sono tutte quelle azioni e misure che si inseriscono nella quotidianità delle persone, delle loro euristiche decisionali, perturbandone il flusso e rendendo possibile un cambiamento comportamentale.
PERCHÉ UN’ETNOGRAFIA DELLO ZERO
Come le venature del marmo, questi aspetti puntuali del flusso decisionale quotidiano definiscono punti di rottura e direzioni di lavoro per scolpire i piccoli comportamenti quotidiani che possano contribuire alla transizione ecologica e dare un significato allo Zero di cui parla questa edizione di Resilienze e della sua scuola.
Sono necessari, dunque, strumenti che indaghino i comportamenti quotidiani e ne facciano emergere il dato per scontato, i fattori che ostacolano e che facilitano il cambiamento. Lo strumento che abbiamo testato in diverse occasioni si chiama etnografia condivisa: uno strumento grazie al quale si chiede alle persone di osservare i propri comportamenti quotidiani, con l’obiettivo di stimolare la messa in discussione di ciò che è dato per scontato, fare emergere dati qualitativi utili a creare “profili” di cittadinanza più aderenti al reale, ossia basati sui comportamenti concreti delle persone e meno condizionati dai bias cognitivi che si attivano quando entra in gioco la descrizione anagrafica (relativa a genere, età, provenienza, status economico, ecc.).
Attivare un gruppo di persone nella generazione di dati qualitativi collettivi porta l’indubbio vantaggio di fornire loro un senso di appartenenza a una comunità di riferimento, di creare cioè l’opportunità di sentirsi parte di un sistema di dati relazionali e “caldi”.
Questi dati seguono un approccio costruttivista, secondo il quale la realtà non è data ma si costruisce insieme e diventa il mondo di dati in cui la comunità di riferimento si riconosce, perché ha contribuito (tramite auto-osservazione) a generare il corpus di analisi condiviso.
Per tutti questi motivi, per leggere la frase “zero non significa nulla” non come doppia negazione, anzi per iniziare a semantizzare lo zero come obiettivo, ci piacerebbe proporre ai partecipanti della Scuola di Resilienze 2023 un modulo trasversale sull’Etnografia dello zero.
LE FASI DEL WORKSHOP
Ci siamo immaginati una sequenza di passaggi per il modulo trasversale Etnografia dello zero della Scuola di Resilienze 2023. Le esponiamo di seguito, nella loro struttura di massima.
Prima di iniziare, ossia un paio di settimane prima della Scuola di Resilienze 2023: il primo passo è l’auto-osservazione. Chiederemo ai partecipanti, tramite un form a domande aperte, di osservare i propri comportamenti in relazione ad alcuni tratti della loro quotidianità, indirettamente collegati alla transizione ecologica.
INFO PRATICHE
Il workshop si terrà dall’8 al 10 giugno, dalle 14:00 alle 18:00.
Le iscrizioni chiudono il 31 maggio.
LA QUOTA DI ISCRIZIONE
Il workshop è già incluso nella quota di iscrizione alla scuola, ma può anche essere acquistato singolarmente. Ecco il costo del solo workshop:
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